Paolo Crepet si esprime a proposito della traccia della prima prova di maturità: “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”.
Facendo riferimento alla traccia del tema d’italiano che oggi hanno dovuto affrontare i maturandi, lo psichiatra Paolo Crepet fa qualche considerazione sulla vita odierna in cui vivono i giovani. Giovani che “non vogliono attendere, vanno di fretta, corrono”.
La presa di coscienza di Crepet
Per la prima prova degli esami di maturità del 2023, è stata scelta come traccia l’articolo dello scrittore e critico letterario, Marco Belpoliti, intitolato “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”.
“Questo tema di maturità sull’attesa è molto interessante e anche molto stimolante”, dichiara Paolo Crepet, secondo cui “attesa e desiderio sono concetti relativamente moderni“ e l’attesa “va considerata come una conquista del romanticismo, siamo arrivati a conquistare l’attesa”.
Ma al giorno d’oggi, in una vita sempre più frenetica, i giovani “non vogliono attendere, vanno di fretta, corrono”. Ma come siamo arrivati a tutto ciò? Come afferma lo psichiatra, “glielo abbiamo insegnato noi”.
“Non è accaduto con un on/off. A guardare bene tutta l’evoluzione tecnologica è avvenuta su questo piano. L’aver abbandonato la penna stilografica per la macchina per scrivere è stato un principio di efficienza da una parte e di rapidità dall’altra. E ancor prima anche i libri erano stesi a mano. E ci voleva il suo tempo”, spiega. Quindi, la tecnologia digitale è stato solo l’ultimo step di un percorso evolutivo molto più lungo e longevo.
“Quando eravamo bambini, erano tempi lenti”
Il problema dei ragazzi oggi è che “fanno un po’ fatica a capire anche quel che Belpoliti scrive con lucidità”. Questo perché Belpoliti, “nel corso della sua stessa vita, ha conosciuto queste varie fasi del progresso, ne ha esperienza. Ha di sicuro fatto le elementari usando penne e matite”, evidenzia Crepet.
“Il problema è che questi ragazzi vivono nel presente e non sanno cosa significhi l’andare lenti, conoscere i tempi dell’attesa”. Poi lo psichiatra racconta un episodio vissuto anni fa a Genova con dei bambini delle elementari, ai quali aveva “insegnato loro a rallentare”.
Ed è stata un’esperienza per certi versi drammatica, in quanto quei bambini “non lo sapevano fare”. Crepet continua spiegando: “Per loro bere un bicchiere di succo era una cosa da fare in un secondo, perché non conoscendo l’attesa, anche di assaporare, facevano gesti solo compulsivi perché erano succubi di una vita vissuta compulsivamente“.
“Se lei pensa ai tempi di un bambino degli anni ’60, di quando eravamo bambini noi, erano tempi lenti: andavi a giocare a pallone, poi ti fermavi, c’era l’oratorio, il tempo per mangiare il ghiacciolo che si scioglieva”, ricorda con nostalgia.
Così, oggi, “aspettare è contro natura, come se a noi venisse chiesto di correre in continuazione. Non ce la faremmo, e non per una questione fisica, di resistenza, ma di disponibilità mentale. Perché noi siamo cresciuti con tempi di attesa”, conclude.